Quando ci si dispone a parlare di qualcuno – ma anche di sé stessi – a volte lo si fa per una inconsapevole ricerca di sollievo attraverso le parole. Lo si fa per manifestare gioia, per sfogare rabbia, o per comunicare un dolore... Oppure perché la nostra vita possa sopravvivere in coloro che ci seguiranno. Parlando ora dello zio Salvatore, la prima cosa che sento di dire è che sarà impossibile abituarci alla sua assenza; perciò sentiamo forte il bisogno di ricordare e di trasmettere ad altri quanto di buono egli ci ha lasciato: la sua saggezza, la bontà, le premurose attenzioni e – quando ci si trovava insieme – quella sua sapienza che si trasformava, nel dialogo con gli altri, in una intelligenza del cuore, che è la capacità di ascoltare, di condividere o di approfondire un dubbio, una situazione, un’idea…
Quanti pensieri, quanti ricordi, quante emozioni scorrono in un istante nella mia mente… E quanto è difficile esprimere tutte queste cose con le parole… Ricordi che però mi fanno riflettere: che cosa resta di noi quando non potremo più raccontare quei momenti condivisi? Ci legano infatti non solo i vincoli familiari, ma anche conoscenze comuni e aneddoti, spesso simili ma pur sempre portatori di valori, accanto a momenti di svago, di festa, di convivialità, che fanno parte significativamente della nostra storia personale. Esperienze che, come in una funzione osmotica, lo zio ha consapevolmente recepito, trasferendole nella sua lunga e intensa vita con la famiglia, con i congiunti, e con gli amici nel suo modus operandi.
Sono questi i racconti che nel momento del congedo si vorrebbero consegnare alle successive generazioni, per saldarsi, nella memoria di ciascuno, come un albero genealogico fatto di ricordi e di emozioni. E allora, che cosa resta della nostra storia quando la morte ci porterà via? Restano intanto fissati nella mente e nel cuore, come frammenti di vita, tanti fotogrammi che continuano a fluire luminosamente intensi, che profumano delle gioie vissute insieme, che rievocano gli affetti, senza escludere talvolta le insoddisfazioni e i dolori.
Salutando oggi lo zio Salvatore, che mi fu anche padrino nella Cresima, penso non soltanto all'anziano parente, ma soprattutto alla persona fidata, a un legame lontano che mi riporta su un percorso di recupero della memoria e di riscoperta dell'identità personale, poiché se egli non c’è più, tuttavia è “presente”… sì, “presente”, perché continua a vivere intimamente in ogni anfratto del nostro cuore, così come avverte Sant’Agostino quando ci ricorda che «Le persone amate che abbiamo perduto non sono più dove erano, ma sono ovunque noi siamo».
Ciao zio caro.